Acquisizione Bialetti: un segnale per le PMI italiane

Il nome Bialetti richiama immediatamente l’immagine della moka, icona del design e della quotidianità domestica italiana, ma dal 2025, il brand non è più sotto controllo italiano. Nuo Capital, fondo con sede in Lussemburgo e radici a Hong Kong, ha acquisito il 78,6% dell’azienda versando 53 milioni di euro, impegnandosi inoltre in un aumento di capitale da 49,5 milioni e nella ristrutturazione del debito (Fonte: Reuters).
Non è solo una notizia di cronaca è un punto di svolta che offre spunti concreti alle PMI italiane che vogliono difendere la propria autonomia industriale e rafforzare la posizione competitiva nel lungo termine.
Oltre la crisi finanziaria: un asset simbolico in difficoltà
Nel 2024, Bialetti registrava 152 milioni di euro di ricavi, ma anche una perdita netta di 1,1 milioni e un indebitamento superiore a 82 milioni (Fonte: Wired). Nonostante un lieve recupero delle vendite, la marginalità restava compressa e il debito non più sostenibile con risorse interne.
Le cause della crisi non sono solo finanziarie. A pesare sono stati:
- Un portafoglio troppo rigido, ancora fortemente dipendente dalla moka tradizionale, mentre il mercato si orientava verso capsule e soluzioni smart;
- Innovazione marginale, con investimenti in nuovi formati e canali che non hanno generato vantaggi competitivi rilevanti;
- Strategie retail non scalabili, con una rete di negozi monomarca che si è rivelata vulnerabile, soprattutto dopo la pandemia.
L’identità di marca non è sufficiente
Bialetti ha fatto leva per anni sul valore simbolico del proprio marchio. Ma quando l’identità non è accompagnata da una strategia industriale coerente, il rischio è che il valore percepito si esaurisca lentamente. L’acquisizione da parte di Nuo Capital arriva in un momento in cui il margine di manovra era ormai ridotto e l’azienda era diventata contendibile.
La lezione per le PMI italiane è chiara: il brand da solo non è un salvagente. È una risorsa da attivare, integrare e proteggere con visione, partnership e scelte industriali ben definite.
Fare M&A prima della crisi, non durante
L’operazione Bialetti dimostra come, in assenza di alleanze strategiche o aggregazioni mirate, anche un marchio consolidato può perdere il controllo del proprio futuro. Se l’M&A viene affrontato solo in fase difensiva, il potere contrattuale si riduce e le alternative si assottigliano.
Le PMI che vogliono crescere senza rinunciare alla propria identità dovrebbero considerare l’M&A come:
- Uno strumento di espansione tecnologica e commerciale;
- Un mezzo per accedere a nuove competenze o mercati esteri;
- Un’opportunità per costruire economie di scala e sostenibilità industriale.
Il contesto: mercato, governance e dimensione
Negli ultimi due anni, il consolidamento tra imprese si è intensificato in Italia. Secondo KPMG, il 2024 ha registrato un aumento del 13% delle operazioni M&A, per un controvalore complessivo di 73 miliardi di euro (Fonte: KPMG M&A Outlook). L’interesse da parte di investitori esteri è cresciuto, in particolare verso brand riconosciuti e aziende con potenziale di crescita.
Le PMI devono quindi porsi una domanda strategica: vogliamo rimanere nel perimetro di chi aggrega o di chi viene aggregato? Non per una questione di dimensione, ma di visione e capacità di guidare il proprio percorso.
Conclusione
L’acquisizione Bialetti non è una perdita, ma una lezione. Attendere che sia il mercato a decidere il proprio destino può essere molto costoso. Pianificare alleanze, aperture di capitale o operazioni di M&A prima che diventino inevitabili è oggi la vera sfida per le PMI italiane.
Il valore di un marchio vive finché è sostenuto da una strategia. Il tempo delle scelte non è domani, ma adesso.
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