Cento giorni. Tanto è bastato alla nuova amministrazione Trump per imprimere una direzione chiara alle relazioni commerciali internazionali. Con un ritmo che molti CDA faticano a eguagliare anche solo per approvare una variazione di budget, la Casa Bianca ha già avviato un cambio di rotta che impatta direttamente sulle imprese che operano con l’estero.

Nessun confronto multilaterale, nessun passaggio graduale. Solo decisioni rapide e unilaterali, capaci di ridisegnare in tempo reale il contesto per chi esporta, importa o opera all’interno di filiere globali. Per le PMI italiane, il messaggio è chiaro: questo non è il momento di attendere chiarimenti, ma quello di interpretare il nuovo scenario e rispondere con lucidità.

Non è più tempo di buone intenzioni

Finora si era discusso di open innovation, di rilancio attraverso M&A, di come una PMI potesse giocare in attacco per crescere. Ma oggi il gioco è cambiato: la palla è pesante, il campo è inclinato e l’arbitro fischia in un’unica direzione. Le nuove misure protezionistiche statunitensi introdotte nei primi 100 giorni della nuova presidenza rendono meno prevedibile l’accesso a mercati chiave e aumentano il grado di rischio per le imprese italiane che lavorano con l’estero.

Eppure, non è il momento di adottare posture difensive. Perché, se è vero che il mercato cambia, è altrettanto vero che cambiare approccio è possibile. Non con reazioni impulsive, ma con azioni coerenti e coordinate.

Ridisegnare la mappa: non tutto il mondo è sotto dazio

Per molte PMI italiane l’export è una conquista quotidiana, fatta di relazioni, affidabilità e margini spesso sottili. In un contesto così mutevole, orientare in modo più selettivo le energie diventa fondamentale. Chi guarda solo agli Stati Uniti rischia oggi di subire. Chi ha una visione più ampia, può riorientarsi con maggiore rapidità.

Le imprese più preparate stanno già rivalutando il perimetro geografico delle vendite, alleggerendo la dipendenza da singoli mercati e riscoprendo opportunità in aree meno soggette a tensioni geopolitiche. Si tratta di una mossa strategica, non solo tattica e oggi, per chi lavora con mezzi limitati, lo è ancora di più.

M&A, ma con altre logiche

Oggi l’M&A non è solo uno strumento per crescere. È una leva per proteggere ciò che funziona, per ridurre la vulnerabilità e consolidare il valore. L’acquisizione di un partner compatibile o il rafforzamento della catena di fornitura attraverso operazioni mirate può garantire maggiore controllo operativo. E non serve pensare a strutture internazionali complesse: anche sul piano nazionale, unire le forze può offrire solidità.

La crescita in sé non basta più. Serve resilienza e costruirla richiede strutture adatte a sostenere la volatilità che ci accompagnerà ancora per molti mesi.

Fine delle mezze stagioni? Forse. Di certo, fine delle mezze strategie

Il protezionismo americano non è solo una questione di dazi, è un cambio di logica. Chi ha costruito la propria strategia su assetti consolidati e mercati stabili oggi si trova di fronte a una verifica. In questo contesto, le PMI italiane possono ancora giocare un ruolo importante, a condizione di abbandonare gli automatismi e scegliere consapevolmente il proprio posizionamento.

Crescere non è più una scelta, è una condizione necessaria per restare rilevanti. Ma per crescere serve prima difendere e per difendersi, oggi più che mai, serve un piano.

In un contesto in movimento, rimanere fermi non è neutralità è esporsi. Le PMI che sapranno adattarsi saranno quelle che domani continueranno a contare.