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Vendere è ancora un tabù, ma qualcuno deve iniziare a parlarne

2 Luglio 2025
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Nella cultura imprenditoriale italiana, vendere l’azienda è ancora vissuto come un fallimento.
Per molte PMI significa arrendersi, abbandonare, chiudere un capitolo con l’amaro in bocca. La realtà è diversa, ma il pregiudizio resiste.
Così, anche quando l’imprenditore inizia a pensarci, e succede più spesso di quanto si creda, preferisce non parlarne. Rimanda. Aspetta. Accantona.

Fino a quando? Spesso fino a quando è troppo tardi per farlo con lucidità.

Chi lavora a fianco degli imprenditori (consulenti, commercialisti, CFO esterni) si trova allora di fronte ad una responsabilità sottovalutata: essere la prima persona a introdurre il tema, senza forzare, senza rompere la fiducia, senza sbagliare il tono.

Ecco cinque approcci per farlo in modo costruttivo.

1) Inquadrare il futuro, non l’uscita

Domande semplici come “Come ti immagini tra cinque o dieci anni?” oppure “Che ruolo vorresti avere nella tua azienda tra qualche anno?” non riguardano la vendita, ma la preparano.

Spingono l’imprenditore a ragionare sul tempo, sulle priorità, sull’equilibrio tra azienda e vita personale.
Aprono un campo neutro, in cui è possibile far emergere anche la possibilità di vendere, senza toccare subito un nervo scoperto.

2) Parlare di altri, non di lui

Chi vende non lo racconta volentieri, ma chi ascolta è sempre interessato.
Portare l’esempio di un altro imprenditore, magari dello stesso settore o territorio, crea una distanza emotiva utile per aggirare il tabù.

“Un mio cliente ha valutato la vendita quando l’azienda era in piena crescita. Oggi è ancora operativo, ma con un altro ruolo, e con capitali per nuovi progetti.”

Raccontare bene un caso concreto aiuta a normalizzare il tema.

3) Proporre un confronto, non una decisione

L’obiettivo non è portare l’imprenditore verso la vendita, ma dargli gli strumenti per capire se può aver senso pensarci.
Un confronto riservato con un advisor specializzato in operazioni straordinarie (M&A), senza vincoli, senza obblighi, serve proprio a questo: trasformare un pensiero latente in una valutazione reale.

Le parole da usare? Valutazione. Controllo. Riservatezza. Mai “vendita” al primo giro.

4) Togliere l’urgenza, lasciare spazio

Uno dei principali motivi per cui l’imprenditore rifiuta di parlare di cessione è la percezione di dover decidere subito. Smentire questa urgenza è fondamentale.

“Non è detto che tu debba vendere. E sicuramente non ora. Ma se tra uno o tre anni dovesse essere un’opzione, è utile iniziare a pensarci adesso.”

5) Chiedere: “E se ti facessero un’offerta?”

È la domanda che cambia l’assetto. Dire “Hai mai pensato di vendere?” è diretto, troppo. Invece chiedere: “Se domani arrivasse un’offerta seria per comprare la tua azienda, la prenderesti in considerazione?” mette l’imprenditore di fronte a un’ipotesi realistica. Spesso è da lì che parte la conversazione vera.

Il vero rischio è non parlarne

Nel contesto attuale, vendere un’azienda non è un’anomalia. È una possibilità concreta, legittima, in certi casi persino strategica.

Purtroppo, finché resta un tabù, rimane anche una decisione “di pancia”, oppure subita o, peggio ancora, semplicemente negata.

Chi ha un rapporto di fiducia con l’imprenditore ha anche il dovere di aprire questa porta. Non farlo per paura di “perdere il cliente” dopo la vendita significa rinunciare al proprio ruolo di consulente, per tenersi quello più comodo di esecutore. Invece, chi ha costruito un rapporto di fiducia può continuare a generare valore anche dopo una cessione, accompagnando l’imprenditore nei passaggi successivi: reinvestimenti, nuovi progetti, gestione della liquidità o start-up di un nuovo ciclo.

Farlo bene significa ascoltare, calibrare, preparare. Non proporre, non spingere, ma nemmeno tacere. Parlarne nel modo giusto non è un rischio è un segno di professionalità.

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